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La nuova rivoluzione industriale: quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale sul nostro sistema economico?

La nuova rivoluzione industriale: quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale sul nostro sistema economico?

L’attuale boom dell’Intelligenza Artificiale, caratterizzato da investimenti senza precedenti e da un’adozione diffusa in tutti i settori, ha sicuramente il potenziale per rappresentare una nuova rivoluzione industriale.
Tutti stanno cercando di capire quale sarà la portata di questo cambiamento per gli stati, le imprese e gli individui. L’intelligenza artificiale impatterà non solo sul PIL e sulla produttività delle imprese, ma anche sulla sicurezza informatica, sul mercato del lavoro e su quello energetico e inciderà anche sull’inflazione.

Il ruolo dell’IA nell’aumentare la produttività.

In che modo l’intelligenza artificiale impatterà sulla produttività è lampante. La produttività è la misura dell’efficienza della produzione, calcolata come il rapporto tra output ed input richiesti nel processo produttivo. Un aumento della produttività consente ad un’economia di produrre più prodotti con la stessa quantità di input, generando maggiore crescita economica.
Le prime implementazioni dei sistemi IA nelle aziende hanno permesso significativi incrementi di produttività, aumentando il rendimento dei lavoratori del 66% e le capacità degli stessi fino al 40%.
I tassi medi di crescita della produttività del lavoro, pre-Covid, erano dell’1.4% negli Stati Uniti e dello 0.8% in Europa.
L’intelligenza artificiale modifica anche il mix di competenze richieste alla forza lavoro, creando domanda per competenze nuove e, potenzialmente, riducendola per quelle automatizzabili.
Ciò richiede un significativo cambiamento nella formazione della forza lavoro, gli individui devono acquisire nuove competenze per restare attrattivi in un mercato del lavoro pervaso dall’intelligenza artificiale.

Impatti settoriali dell’IA sulla produttività.

L’impatto dell’IA sulla produttività varia significativamente tra i diversi settori. Il settore bancario-finanziario e High Tech, che hanno una elevata esposizione all’IA stanno vivendo forti aumenti di produttività. I settori con un’esposizione meno diretta all’IA hanno difficoltà a sfruttarne appieno il potenziale.
L’IA ha un notevole potenziale di incremento della crescita economica e dei posti di lavoro. Per sfruttare tali vantaggi è, pero’, richiesto uno sforzo per una efficace integrazione dell’IA nei processi aziendali e per la formazione della forza lavoro nello sviluppo di nuove competenze.

Le aziende dovranno assumere nuovi manager dell’IA e responsabili della conformità per garantire che l’uso della tecnologia sia in linea con le normative. Le nuove tecnologie non sempre portano tagli ai posti di lavoro, ma un cambiamento nell’utilizzo delle professionalità.

La capacità di adattarsi, studiare e reinventarsi sarà fondamentale.
Per capire l’importanza di questa fase, può essere utile guardare alla storia delle precedenti rivoluzioni industriali per capire come l’adozione di nuove tecnologie ha modificato le nostre economie, permettendo aumenti di produttività ed occupazione. L’implementazione dell’intelligenza artificiale a livello industriale promette di migliorare l’efficienza e stimolare la crescita economica.

Come le passate rivoluzioni industriali hanno modificato le economie e l’inflazione?

Le passate rivoluzioni industriali sono state caratterizzate da un’iniziale fase inflazionistica causata dall’aumento della domanda a cui seguono pressioni deflazionistiche all’aumentare della produttività e dell’offerta.
Questo è, tuttavia, un percorso lungo nel tempo: l’inflazione scende nel lungo periodo, la fase di implementazione dell’intelligenza artificiale potrà causare iniziali episodi di inflazione.
Non sembra esagerato considerare quella indotta dall’IA come la quarta rivoluzione industriale, ma allo stesso tempo tale rivoluzione è ben lontana dall’essere compiuta.

Le prospettive di crescita sono comunque enormi, lasciando ipotizzare che la rivoluzione prodotta dall’IA avrà effetti maggiori rispetto alla somma delle precedenti.
In questa prospettiva diventa cruciale gestire adeguatamente i progressi nel campo dell’IA non solo per sfruttare il suo potenziale economico, ma anche per orientare il suo impatto verso il miglioramento del benessere sociale e la promozione della crescita sostenibile.

La capacità di adattarsi e reinventarsi sarà la chiave per prosperare in un’economia in continua evoluzione.

Il futuro è (come sempre) nelle nostre mani!

Si torna a parlare di spread…Cos’è? Perche’ sta aumentando?

Si torna a parlare di spread…Cos’è? Perche’ sta aumentando?

Cos’è lo spread?

Lo spread è in crescita da qualche mese, anche se rimane comunque molto al di sotto dei livelli più alti del passato.

Il 28 settembre lo spread ha toccato quota 200. Ma cos’è lo spread e perché è comunemente utilizzato dagli addetti ai lavori per valutare lo stato di salute delle economie nazionali?

In inglese la parola “spread” ha vari significati. Nel linguaggio finanziario, essa indica la differenza tra due grandezze economiche. Quando se ne parla relativamente ai titoli di Stato, in Europa, si tende solitamente a prendere come punto di riferimento per il calcolo del differenziale il valore di quelli tedeschi. Questo perché la Germania, oltre a essere storicamente il paese più ricco del continente è anche considerato dai mercati come il più affidabile. Se infatti, ad esempio, confrontiamo due obbligazioni con le stesse caratteristiche (scadenza, tipo tasso, valuta, ecc.) ma emesse da due soggetti diversi, lo spread rispecchia la diversa capacità dei due emittenti di rimborsare i soldi presi in prestito. Più è alto lo spread, più il titolo italiano, nel nostro caso, è considerato rischioso rispetto a quello tedesco. Lo spread è quindi una misura di quanto gli investitori percepiscano lo Stato italiano più a rischio della Germania nella capacità di rimborsare il prestito.

Perché lo spread aumenta ora?

L’aumento dei tassi che ha riportato i rendimenti al 4,50%, ha reso nuovamente appetibili i titoli di stato per gli investitori, dopo anni di tassi a zero, ma rappresenta un costo enorme per le casse dello stato. Il Tesoro a fine 2023 avrà emesso oltre 300 miliardi di nuovi titoli a tassi di interesse molto più alti rispetto al recente passato. Mentre cresce l’interesse per la prossima emissione del Btp Valore, in collocamento proprio in questi giorni collocato tra il 2 e il 6 ottobre, il governo è alla ricerca di soldi per la manovra. Il costo del debito rappresenta un ulteriore ostacolo al reperimento delle risorse finanziarie. Nel contesto attuale in cui le banche centrali manterranno tassi elevati a lungo e con l’inflazione da tenere a bada, il debito pubblico di tutti gli stati sta soffrendo. A questi fattori, per l’Italia, si aggiungono il deficit dovuto al superbonus e le preoccupazioni circa la nostra capacità di realizzare tutti gli investimenti previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Questo crea tensioni e timori sulle finanze pubbliche e fa aumentare lo spread.

Quale effetto può avere sulle tue scelte finanziarie un aumento dello spread?

Se hai già investito i tuoi risparmi in titoli di Stato, all’aumento dello spread corrisponde generalmente una diminuzione del valore dei tuoi titoli (quando salgono i tassi diminuiscono i prezzi dei titoli già emessi).

Se invece stai valutando di acquistare un titolo di Stato, potresti ottenere un rendimento più alto di prima, ma è importante capire quali siano i maggiori rischi che stanno provocando l’aumento dello spread.

Questi alcuni suggerimenti per gestire i tuoi investimenti, alla luce dei cambiamenti in atto nell’economia mondiale.

Per ricevere un servizio di consulenza finanziaria personalizzata, ecco i miei contatti.

Daniela Garoia – Consulente finanziario  

Crisi Russia-Ucraina:opportunità e rischi

Crisi Russia-Ucraina:opportunità e rischi

Quando sono iniziate le tensioni Russia-Ucraina?

Le tensioni Russia-Ucraina non sono una novità. Il conflitto è iniziato nel 2014 con l’annessione della Crimea.

L’episodio dell’occupazione militare della Crimea si sviluppò in due fasi. Una interna e una militare con il coinvolgimento diretto della Russia. Ripercorrere gli eventi è sicuramente utile.

Alla fine del 2013, larghe manifestazioni di popolo si sollevarono contro il governo del presidente filorusso Janukovyc. Egli aveva deciso di rinviare la firma di un Accordo di Associazione tra Ucraina e Unione Europea. Le tensioni interne durarono settimane. Iniziarono gli scontri armati tra manifestanti e polizia, che culminarono con la fuga in Russia del presidente Janukovyc, esautorato da parte del Parlamento ucraino. Il 26 febbraio 2014, come reazione, l’esercito russo iniziò l’occupazione militare della penisola di Crimea.

Dopo pochi giorni, la regione era già sotto il controllo russo. L’11 marzo si tenne il referendum che sancì unilateralmente l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina.

L’ultimo capitolo della storia fu l’approvazione di una risoluzione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il referendum fu dichiarato invalido.

Da allora, sulla Russia incombono una serie di sanzioni e restrizioni che sono ormai diventate parte di un “normale” funzionamento dei mercati.

Cosa sta accadendo ora al confine Russo-Ucraino?

A novembre dello scorso anno le tensioni Russo-Americane sul tema dell’Ucraina si sono riaccese. Immagini satellitari mostravano un importante raggruppamento di truppe russe ai confini dell’Ucraina.

L’amministrazione Biden minaccia sanzioni severe in caso di attacco all’Ucraina. Putin chiede che la NATO non ammetta l’Ucraina nell’alleanza atlantica.

Il quadro peggiora venerdì scorso quando fonti americane assicurano che la  Russia sia pronta ad attaccare l’Ucraina già questa settimana. Poi lunedì 21 febbraio la crisi tra Russia e Ucraina si​​​​ è inaspettatamente inasprita.

Dopo settimane di lavoro febbrile da parte delle diplomazie internazionali e un’alternanza impressionante di indiscrezioni proclami e notizie contrastanti, il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto con un decreto l’indipendenza delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, nel Donbass, che formalmente fanno parte del territorio ucraino, ma dal 2014 sono occupate da separatisti filorussi appoggiati dal Cremlino.

Stati Uniti e Unione Europea hanno annunciato nuove sanzioni nei confronti della Russia, e nella notte c’è stato un incontro molto teso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

 

Guerra in Ucraina: la reazione dei mercati

 

La reazione dei mercati in caso di guerra in Ucraina la stiamo già osservando. I movimenti osservati sono quelli tipici di una fase di risk-off:

  • l’oro è in rialzo del 4%, il brent del 7.5% (98.3 $/barile) e il gas naturale europeo (TTF) del 5%;
  • I titoli più rischiosi come le azioni growth (ad elevata crescita) e i tecnologici  vengono abbandonati a favore di titoli più stabili e difensivi;
  • l’Euro Stoxx 50 sta lasciando sul terreno poco più del 5% e l’S&P 500 circa il 3%, con il VIX  (indice che misura la volatilità sui mercati) che punta nuovamente verso quota 30;
  • gli asset russi sono stati severamente colpiti, con un calo di oltre il 21% per la borsa e di circa il 5% per il rublo nei confronti del dollaro (da fine ottobre 2021 – momento in cui si sono riaccese le tensioni – le variazioni sono rispettivamente di -32% e -12%)
  • le valute rifugio registrano modesti apprezzamenti con il dollaro quasi invariato.​

Borsa Italiana ha aperto subito con il -3,72% dopo l’escalation. Non si segnalano titoli in rialzo, solo vendite e con punte alte sui bancari come Banco Bpm (-4,96%), Unicredit (-4,49%), Intesa Sanpaolo (-4,1%), Banca Mediolanum (-3,81%).

Cedono i bancari anche perché una delle prime sanzioni che verrà applicata dall’Unione Europea alla Russia, in caso di aggressione all’Ucraina, sarà la chiusura dei rubinetti bancari alle banche russe. La Bce cesserà l’operatività delle banche russe isolandola finanziariamente, di conseguenza tutte le attività economiche tra Russia e paesi dell’Unione Europea cesserebbero di colpo.

 

Ci sarà davvero una guerra?

 

La situazione è in rapida evoluzione. Le banche centrali sviluppate hanno recentemente segnalato preoccupazioni  per le pressioni inflazionistiche dovute in grande misura alla componente energetica, di cui la Russia è massimo produttore europeo.  Le prospettive di instabilità in Ucraina giocano un importante ruolo nell’ambito delle esportazioni di materie prime, in questo caso più legate all’agricoltura. L’Ucraina è uno dei maggiori produttori mondiali di mais e grano. Russia e Ucraina insieme garantiscono quasi un terzo del commercio mondiale. La Russia è già stremata economicamente dalle sanzioni che le sono state applicate e un’ondata di nuove sanzioni avrebbero un costo elevato per la popolazione russa e andrebbero ad aumentare la già elevata ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

In questi anni chi ha un po’ di militanza sui mercati ha gia’ visto guerre vere e mediatiche molto simili a questa. E’ possibile che si arrivi ad una soluzione diplomatica in extremis. In ogni caso è bene ricordare come sono andate le cose in caso di conflitto: i mercati hanno sempre avuto correzioni importati prima della effettiva “dichiarazione di guerra” per poi stabilizzarsi e successivamente recuperare le perdite, alcune volte anche in tempi relativamente brevi.  Per i mercati: “il tempo è galantuomo”!

Nella maggioranza dei casi i mercati odiano l’incertezza, percio’ preferiscono il noto, la certezza, anche in caso di guerra.

Davvero conviene a Putin invadere l’Ucraina? E l’Europa come risponderebbe?

A nessuno degli attori in gioco conviene un conflitto. La Germania non è disposta a mandare nemmeno armi e forse si limiterà a un prestito economico all’Ucraina per acquistarne.

L’Italia si è affrettata a garantirsi le forniture di gas dalla Russia, dal momento che dipendiamo da quella “canna” per oltre il 40%.

Biden ha addirittura ritirato i militari addestratori (non solo i civili) presenti sul suolo ucraino.

Le sanzioni annunciate dagli Usa sono di entità modesta rispetto alle attese. L’impressione è che stiano cercando di convincere Putin a fermarsi.

Un’invasione vera e propria dell’Ucraina non è nell’interesse della Russia, ed è probabile che l’Occidente continuerà a minimizzare la questione finché l’occupazione resterà limitata alla regione del Donbass, preferendo le sanzioni economiche a un’escalation militare.

E’ importante sottolineare che i rischi di un’invasione vera e propria sarebbero molto seri. Gli Stati Uniti difficilmente potrebbero ignorarla, perché rischierebbero di perdere credibilità.  Da un lato, infatti, apparirebbero incapaci di difendere i confini NATO (la Polonia, altamente anti-Russia, si troverebbe le truppe di Putin al confine). Dall’altro, darebbero un segnale di grande debolezza alla Cina sulla questione Taiwan.

 

Investire in Russia puo’ essere consigliato?

Dai dati evidenziati sopra, attualmente il listino russo è a sconto del 20-30% rispetto ai valori storici. Apparentemente potrebbe sembrare il miglior posto in cui investire, ma le questioni geopolitiche e le iniziative politiche ed economiche del governo russo scoraggiamo gli investitori istituzionali. Fino ad ottobre la borsa russa era salita ad un passo più che doppio rispetto alla media delle borse mondiali. Il rialzo era trainato, soprattutto, dai titoli dell’energia (Gazprom) e delle materie prime. Gazprom pesa per il 20% sulla borsa di Mosca. Il listino è molto concentrato su petroliferi e materie prime. Questo puo’ rappresentare un punto di forza in questo momento, ma nel tempo può diventare una debolezza (una elevata concentrazione su pochi settori significa maggiore rischio). La crescita economica  prevista per il 2022 è bassa (pari all’1%) senza considerare eventuali nuove  sanzioni. Pur essendo un gigante militare e per estensione territoriale, da un punto di vista economico è un nano: il peso dell’indice russo sull’indice mondiale è praticamente irrilevante.

Investire su questo mercato va valutato con attenzione, se si decide di farlo, con un peso basso in considerazione del rischio elevato.

 

Conviene ancora investire in Cina?

Conviene ancora investire in Cina?

Questa mattina Hong Kong e Shanghai hanno lasciato sul terreno quasi il 4% complessivamente, dopo le ultime notizie sulle decisioni del governo cinese, che potrebbero limitare gli investimenti esteri in alcuni settori. Pechino ha vietato l’insegnamento a scopo di lucro nelle materie scolastiche di base e ha annunciato che tutte le istituzioni che offrono tutoring sul curriculum scolastico saranno registrate come organizzazioni senza fine di lucro e non saranno concesse nuove licenze. In questo modo ha sostanzialmente limitato gli investimenti stranieri nel settore. La motivazione di fondo è quella di ridurre l’onere finanziario per le famiglie, ma questa azione  ha notevolmente inasprito il sentiment degli investitori. L’indice cinese è in negativo da inizio anno, aggiornando le perdite complessive per gli investitori che hanno investito da poco in Cina.

Conviene ancora investire in Cina?

Partiamo dal presupposto che l’Asia e la Cina vantano le migliori prospettive di crescita future e bisogna averle assolutamente in portafoglio. La Cina è sempre stato un mercato complesso, la cui economia è fortemente influenzata dalle decisioni governative ed è molto lontana dai sistemi liberali di mercato a cui siamo abituati.  Le vicende Alibaba e Jac Ma dovrebbero farci capire come l’andamento dei profitti aziendali in Cina sia sempre influenzato dal governo e questo mette sempre “in ansia” gli investitori esteri. Si creano momenti di forte volatilità al ribasso (fughe di capitali esteri) o al rialzo (imponenti flussi in entrata di capitali esteri).

Che impatto hanno le decisioni governative degli ultimi mesi?

Settore dell’istruzione

L’impatto economico e finanziario diretto sull’intera economia di queste nuove normative sul settore dell’istruzione è estremamente ridotto. Ci sono diverse società di tutoraggio cinesi quotate nella Cina continentale, a Hong Kong o negli Stati Uniti; la dimensione complessiva di queste società rappresenta solo una piccolissima parte degli indici.

Settore Internet

Sebbene vi siano ancora alcune questioni irrisolte relative alle indagini anti-monopolio delle piattaforme Internet, il caso-scuola di Alibaba, di qualche mese fa, ha dimostrato che il timore di una grave crisi di queste società è totalmente ingiustificato. La principale forma di repressione prende la forma di sanzioni / multe limitate per legge al 4% dei ricavi o a requisiti per modificare le pratiche commerciali per prevenire comportamenti monopolistici.

Settore Immobiliare

La repressione del settore immobiliare ha lo scopo di ridurre l’indebitamento del Paese e di prevenire rischi sistemici per l’economia. Le restrizioni ai prestiti dei developer immobiliari sono giustificate, in quanto queste aziende hanno dimensioni tali da poter creare potenziali rischi sistemici al sistema finanziario. La chiave è prevenire ciò che è successo con un mercato immobiliare fuori controllo (come quello degli Stati Uniti nel 2008 che ha portato ad una massiccia crisi finanziaria).

Cosa attendersi nei prossimi mesi?

Il mercato cinese da sempre è stato caratterizzato da forti rialzi e forti ribassi. L’intervento governativo crea un panico immediato ed improvviso nel momento in cui vengono introdotte nuove misure di contenimento o restrizioni, ma nel tempo il mercato si stabilizza e riprende la sua corsa. L’intervento statale crea timori negli investitori occidentali, abituati al libero mercato, ma è funzionale ad evitare bolle e crisi finanziarie in un paese di dimensioni così importanti da un punto di vista economico e demografico.

Anche questa volta il recente ribasso (sell-off ) è ingiustificato e non corrisponde ai solidi fondamentali sia dell’economia che delle imprese cinesi.

 

 

 

Conviene investire sul petrolio in questo momento?

Conviene investire sul petrolio in questo momento?

I prezzi del petrolio sono crollati sotto zero. Molte persone mi hanno chiesto se sia il caso di acquistarlo dati i prezzi ultra bassi. Conviene INVESTIRE SUL PETROLIO in questo momento? Con quali strumenti è meglio farlo?

Per rispondere a questa domanda è necessario un breve viaggio nel mondo del petrolio per capirne le dinamiche e il funzionamento.

Come avvengono gli scambi sul mercato del petrolio?

Il petrolio è andato in negativo, non significa che il prezzo del barile è negativo, ma che il contratto sul petrolio ha prezzo negativo. I contratti petroliferi non vengono scambiati come le azioni. Scadono mensilmente in modo che il greggio possa essere consegnato agli acquirenti alla data prevista.

I partecipanti comprano e vendono petrolio usando futures o opzioni. Questi sono contratti a termine in cui viene fissato un prezzo tra un acquirente ed un venditore ed hanno scadenza mensile. Questo significa che oggi acquistiamo da un magnate saudita un cargo di petrolio a $20 al barile. E so che al prezzo di vendita di oggi posso rivendere il cargo a Trieste per $25 (che include costi di assicurazione, noleggio nave etc). Quello che posso fare è entrare nel mercato dei derivati fissare quel prezzo che mi dà un guadagno di $5. ll mercato dei futures (contratti derivati) si muove in base alla domanda e offerta del mercato del petrolio.

Perché il petrolio è negativo?

 Il fatto che il contratto sul petrolio sia ora negativo dipenda dalla struttura del mercato.

 Vi sono due principali strutture di mercato: il Contango e il Backwardation.

Il mercato è in Contango quando vi è più offerta che domanda nel mercato, ed è la situazione attuale, in cui non è conveniente vendere oggi perché il prezzo è troppo basso, conviene stoccare il prodotto in un magazzino e attendere un aumento dei prezzi.

La Backwardation è il contrario, quando vi è più domanda che offerta. Quindi è più redditizio vendere oggi.

Nel mondo del petrolio, il ruolo dello stoccaggio è molto importante, perché aiuta a livellare gli scostamenti tra domanda e offerta. Senza stoccaggio, quando la domanda diminuisce, i produttori e le raffinerie dovrebbero chiudere immediatamente. Questo è impossibile per la complessità del processo di estrazione. Non si spegne un pozzo o una raffineria con un interruttore.

Il future sul petrolio negativo significa che c’è talmente tanta offerta rispetto alla domanda nell’economia globale, che chi vende è disposto a pagare pur di liberarsene. E’ una situazione paradossale, che potrebbe anche peggiorare perchè non c’è più spazio per lo stoccaggio di petrolio grezzo.

 Il COVID-19 e il conseguente lockdown hanno ridotto drasticamente il consumo di petrolio.  La gente non si muove, non viaggia, i voli sono fermi, le aziende sono chiuse.

La Cina, uno dei massimi acquirenti, non sta consumando ed è fuori gioco per qualche mese.

Il cartello dei paesi produttori di petrolio l’OPEC e la Russia hanno deciso di non ridurre la produzione giornaliera. Una riduzione servirebbe in una fase in cui la domanda è in calo.

Conviene investire sul petrolio in questo momento?

Se si scommette su una variazione di prezzo giornaliera o settimanale si può acquistare un etf per fare trading.

Se si compra con la logica di medio lungo periodo, attendendosi che il prezzo del petrolio torni a livelli “normali” nel medio lungo periodo un investimento in un eft comporta attualmente rischi di perdite molto elevate. Le perdite possono verificarsi quando i fondi/etf si trovano ad alzare il sipario sulla loro esposizione alla scadenza dei contratti.

Se i prezzi dei contratti attuali sono al di sotto dei contratti per la consegna futura, allora un fondo petrolifero è costretto a vendere i propri contratti al prezzo più basso, per poi acquistare il contratto del mese successivo a un prezzo più alto solo per mantenere le proprie partecipazioni.

I maggiori ETF petroliferi hanno visto le loro partecipazioni nette aumentare del 400% nell’ultimo mese. Questi fondi petroliferi saranno esposti a perdite variabili ogni mese fino a quando i fondamentali del mercato non si stabilizzeranno. Questo processo di normalizzazione potrebbe richiedere diversi mesi. 

In questa situazione è più prudente e più redditizio comprare azioni di aziende che gravitano nel settore dello stoccaggio o di compagnie marittime. Fino a quando l’economia globale non ripartirà a ritmi sostenuti, sarà necessario stoccare il petrolio. I costi di stoccaggio e di trasporto merci aumenteranno e ne beneficeranno le società attive in questi servizi.

Questi alcuni suggerimenti utili per investire sul petrolio, alla luce delle opportunità attualmente presenti sul mercato.

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Daniela Garoia – Consulente finanziario

Cosa sono gli Eurobond?

Cosa sono gli Eurobond?

Cosa sono gli Eurobond?

Gli Eurobond sono obbligazioni emesse congiuntamente dagli Stati membri dell’Unione Europea e garantite da tutti i partecipanti all’Eurozona. Nel 2016 il progetto è stato avanzato da diversi economisti come una possibile via di uscita alle manovre di Quantitative Easing per sostenere l’economia Ue.

Perché se ne parla in questa emergenza sanitaria?

Nell’emergenza coronavirus, gli Eurobond aiuterebbero a rilanciare l’economia. Tutti i Paesi membri potrebbero finanziarsi alle medesime condizioni e sostenere le imprese e le famiglie colpite economicamente dalla temporanea chiusura forzata dell’attività.  

Per i Paesi (cicale) già fortemente indebitati fornire aiuti di stato, sospendere il Patto di stabilità o applicare il MES sono misure capestro. Gli stati deboli si troverebbero a pagare un conto molto elevato, ad emergenza finita, in termini di spread.

Secondo alcuni economisti, l’emissione di Eurobond in una emergenza sanitaria che coinvolge tutti i paesi membri è condizione essenziale per la sopravvivenza dell’Unione Europea. Uno spirito solidale e una identità unitaria dissiperebbero il malcontento e le correnti nazionaliste presenti in diversi stati.

Vi sono, pero’, difficoltà oggettive da superare.

Perché l’Europa è divisa sull’emissione?

La Germania e diversi altri Paesi dell’Europa settentrionale, come l’Olanda, sono contrari agli Eurobond, per motivi diversi.

I paesi come l’Olanda, l’Irlanda, l’Austria e il Lussemburgo hanno aliquote fiscali agevolate e sono, percio’, paradisi fiscali. La Germania grazie ad un’economia solida e all’austerità delle sue finanze statali si finanzia già a tassi bassi o negativi. Queste economie forti (formiche) non vogliono condividere il debito con paesi più deboli (cicale).

I paesi cicale (Italia, Francia, Spagna e Belgio) sostengono fortemente l’emissione di Eurobond per far fronte alla crisi. In cambio concedono ai paesi forti il mantenimento in proprio dei debiti pubblici pregressi. La richiesta prioritaria è garantire un piano di salvataggio sanitario, economico e sociale, gestito dalle istituzioni europee.

Quali sarebbero i vantaggi dell’emissione di Eurobond?

I vantaggi degli Eurobond sono i seguenti:

  • Gli Eurobond sarebbero uno strumento liquido di dimensioni globali con un grado di sicurezza assimilabile ai titoli del tesoro americano.
  • Eviterebbero gli sbalzi di spread tra i paesi dell’Ue e la fuga di capitali da paesi deboli verso quelli più forti. Gli investitori cercano la sicurezza in Germania e il rendimento in Italia.
  • La volatilità e il rischio sarebbero più contenuti, gli Eurobond diventerebbero il titolo riferimento di comparazione sostituendo il Bund tedesco.
  • Gli Eurobond sarebbero uno strumento su cui le banche Ue potrebbero investire evitando di concentrare i rischi nei bond sovrani del proprio Paese.

Quali sono le difficoltà all’emissione di Eurobond?

Le difficoltà all’emissione sono le seguenti:

  • Non vi è, ad oggi, una Unione fiscale in Europa. Le tasse e l’impiego delle risorse fiscali sono a discrezione dei singoli Paesi membri. Questi vedono ogni ingerenza da parte di Bruxelles come un affronto alla sovranità del paese.
  • Alcuni Paesi potrebbero necessitare di investimenti maggiori e il costo ricadrebbe su tutti gli altri Paesi. Questo creerebbe scontento nei contribuenti dei paesi economicamente più solidi. Sull’esempio di quello che avviene nel nostro paese tra Nord Italia e Sud Italia.
  • I costi di un default statale o di una ristrutturazione controllata del debito di un paese membro sarebbero distribuiti anche sugli altri. Perché un Paese membro economicamente forte dovrebbe mettere mano alle tasche dei suoi contribuenti per “salvare” le finanze di un altro Paese?

Il confronto tra i Paesi dell’Unione europea proseguirà nelle prossime settimane. Ripartirà esattamente con i due schieramenti: Sud e Nord, tra chi vuole condividere risorse e rischi e chi invece preferisce gestirsi le crisi da solo. C’è da augurarsi che si riesca a trovare una soluzione condivisa in modo da superare l’attuale situazione di difficoltà economica.