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Si torna a parlare di spread…Cos’è? Perche’ sta aumentando?

Si torna a parlare di spread…Cos’è? Perche’ sta aumentando?

Cos’è lo spread?

Lo spread è in crescita da qualche mese, anche se rimane comunque molto al di sotto dei livelli più alti del passato.

Il 28 settembre lo spread ha toccato quota 200. Ma cos’è lo spread e perché è comunemente utilizzato dagli addetti ai lavori per valutare lo stato di salute delle economie nazionali?

In inglese la parola “spread” ha vari significati. Nel linguaggio finanziario, essa indica la differenza tra due grandezze economiche. Quando se ne parla relativamente ai titoli di Stato, in Europa, si tende solitamente a prendere come punto di riferimento per il calcolo del differenziale il valore di quelli tedeschi. Questo perché la Germania, oltre a essere storicamente il paese più ricco del continente è anche considerato dai mercati come il più affidabile. Se infatti, ad esempio, confrontiamo due obbligazioni con le stesse caratteristiche (scadenza, tipo tasso, valuta, ecc.) ma emesse da due soggetti diversi, lo spread rispecchia la diversa capacità dei due emittenti di rimborsare i soldi presi in prestito. Più è alto lo spread, più il titolo italiano, nel nostro caso, è considerato rischioso rispetto a quello tedesco. Lo spread è quindi una misura di quanto gli investitori percepiscano lo Stato italiano più a rischio della Germania nella capacità di rimborsare il prestito.

Perché lo spread aumenta ora?

L’aumento dei tassi che ha riportato i rendimenti al 4,50%, ha reso nuovamente appetibili i titoli di stato per gli investitori, dopo anni di tassi a zero, ma rappresenta un costo enorme per le casse dello stato. Il Tesoro a fine 2023 avrà emesso oltre 300 miliardi di nuovi titoli a tassi di interesse molto più alti rispetto al recente passato. Mentre cresce l’interesse per la prossima emissione del Btp Valore, in collocamento proprio in questi giorni collocato tra il 2 e il 6 ottobre, il governo è alla ricerca di soldi per la manovra. Il costo del debito rappresenta un ulteriore ostacolo al reperimento delle risorse finanziarie. Nel contesto attuale in cui le banche centrali manterranno tassi elevati a lungo e con l’inflazione da tenere a bada, il debito pubblico di tutti gli stati sta soffrendo. A questi fattori, per l’Italia, si aggiungono il deficit dovuto al superbonus e le preoccupazioni circa la nostra capacità di realizzare tutti gli investimenti previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Questo crea tensioni e timori sulle finanze pubbliche e fa aumentare lo spread.

Quale effetto può avere sulle tue scelte finanziarie un aumento dello spread?

Se hai già investito i tuoi risparmi in titoli di Stato, all’aumento dello spread corrisponde generalmente una diminuzione del valore dei tuoi titoli (quando salgono i tassi diminuiscono i prezzi dei titoli già emessi).

Se invece stai valutando di acquistare un titolo di Stato, potresti ottenere un rendimento più alto di prima, ma è importante capire quali siano i maggiori rischi che stanno provocando l’aumento dello spread.

Questi alcuni suggerimenti per gestire i tuoi investimenti, alla luce dei cambiamenti in atto nell’economia mondiale.

Per ricevere un servizio di consulenza finanziaria personalizzata, ecco i miei contatti.

Daniela Garoia – Consulente finanziario  

Crisi Russia-Ucraina:opportunità e rischi

Crisi Russia-Ucraina:opportunità e rischi

Quando sono iniziate le tensioni Russia-Ucraina?

Le tensioni Russia-Ucraina non sono una novità. Il conflitto è iniziato nel 2014 con l’annessione della Crimea.

L’episodio dell’occupazione militare della Crimea si sviluppò in due fasi. Una interna e una militare con il coinvolgimento diretto della Russia. Ripercorrere gli eventi è sicuramente utile.

Alla fine del 2013, larghe manifestazioni di popolo si sollevarono contro il governo del presidente filorusso Janukovyc. Egli aveva deciso di rinviare la firma di un Accordo di Associazione tra Ucraina e Unione Europea. Le tensioni interne durarono settimane. Iniziarono gli scontri armati tra manifestanti e polizia, che culminarono con la fuga in Russia del presidente Janukovyc, esautorato da parte del Parlamento ucraino. Il 26 febbraio 2014, come reazione, l’esercito russo iniziò l’occupazione militare della penisola di Crimea.

Dopo pochi giorni, la regione era già sotto il controllo russo. L’11 marzo si tenne il referendum che sancì unilateralmente l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina.

L’ultimo capitolo della storia fu l’approvazione di una risoluzione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il referendum fu dichiarato invalido.

Da allora, sulla Russia incombono una serie di sanzioni e restrizioni che sono ormai diventate parte di un “normale” funzionamento dei mercati.

Cosa sta accadendo ora al confine Russo-Ucraino?

A novembre dello scorso anno le tensioni Russo-Americane sul tema dell’Ucraina si sono riaccese. Immagini satellitari mostravano un importante raggruppamento di truppe russe ai confini dell’Ucraina.

L’amministrazione Biden minaccia sanzioni severe in caso di attacco all’Ucraina. Putin chiede che la NATO non ammetta l’Ucraina nell’alleanza atlantica.

Il quadro peggiora venerdì scorso quando fonti americane assicurano che la  Russia sia pronta ad attaccare l’Ucraina già questa settimana. Poi lunedì 21 febbraio la crisi tra Russia e Ucraina si​​​​ è inaspettatamente inasprita.

Dopo settimane di lavoro febbrile da parte delle diplomazie internazionali e un’alternanza impressionante di indiscrezioni proclami e notizie contrastanti, il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto con un decreto l’indipendenza delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, nel Donbass, che formalmente fanno parte del territorio ucraino, ma dal 2014 sono occupate da separatisti filorussi appoggiati dal Cremlino.

Stati Uniti e Unione Europea hanno annunciato nuove sanzioni nei confronti della Russia, e nella notte c’è stato un incontro molto teso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

 

Guerra in Ucraina: la reazione dei mercati

 

La reazione dei mercati in caso di guerra in Ucraina la stiamo già osservando. I movimenti osservati sono quelli tipici di una fase di risk-off:

  • l’oro è in rialzo del 4%, il brent del 7.5% (98.3 $/barile) e il gas naturale europeo (TTF) del 5%;
  • I titoli più rischiosi come le azioni growth (ad elevata crescita) e i tecnologici  vengono abbandonati a favore di titoli più stabili e difensivi;
  • l’Euro Stoxx 50 sta lasciando sul terreno poco più del 5% e l’S&P 500 circa il 3%, con il VIX  (indice che misura la volatilità sui mercati) che punta nuovamente verso quota 30;
  • gli asset russi sono stati severamente colpiti, con un calo di oltre il 21% per la borsa e di circa il 5% per il rublo nei confronti del dollaro (da fine ottobre 2021 – momento in cui si sono riaccese le tensioni – le variazioni sono rispettivamente di -32% e -12%)
  • le valute rifugio registrano modesti apprezzamenti con il dollaro quasi invariato.​

Borsa Italiana ha aperto subito con il -3,72% dopo l’escalation. Non si segnalano titoli in rialzo, solo vendite e con punte alte sui bancari come Banco Bpm (-4,96%), Unicredit (-4,49%), Intesa Sanpaolo (-4,1%), Banca Mediolanum (-3,81%).

Cedono i bancari anche perché una delle prime sanzioni che verrà applicata dall’Unione Europea alla Russia, in caso di aggressione all’Ucraina, sarà la chiusura dei rubinetti bancari alle banche russe. La Bce cesserà l’operatività delle banche russe isolandola finanziariamente, di conseguenza tutte le attività economiche tra Russia e paesi dell’Unione Europea cesserebbero di colpo.

 

Ci sarà davvero una guerra?

 

La situazione è in rapida evoluzione. Le banche centrali sviluppate hanno recentemente segnalato preoccupazioni  per le pressioni inflazionistiche dovute in grande misura alla componente energetica, di cui la Russia è massimo produttore europeo.  Le prospettive di instabilità in Ucraina giocano un importante ruolo nell’ambito delle esportazioni di materie prime, in questo caso più legate all’agricoltura. L’Ucraina è uno dei maggiori produttori mondiali di mais e grano. Russia e Ucraina insieme garantiscono quasi un terzo del commercio mondiale. La Russia è già stremata economicamente dalle sanzioni che le sono state applicate e un’ondata di nuove sanzioni avrebbero un costo elevato per la popolazione russa e andrebbero ad aumentare la già elevata ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

In questi anni chi ha un po’ di militanza sui mercati ha gia’ visto guerre vere e mediatiche molto simili a questa. E’ possibile che si arrivi ad una soluzione diplomatica in extremis. In ogni caso è bene ricordare come sono andate le cose in caso di conflitto: i mercati hanno sempre avuto correzioni importati prima della effettiva “dichiarazione di guerra” per poi stabilizzarsi e successivamente recuperare le perdite, alcune volte anche in tempi relativamente brevi.  Per i mercati: “il tempo è galantuomo”!

Nella maggioranza dei casi i mercati odiano l’incertezza, percio’ preferiscono il noto, la certezza, anche in caso di guerra.

Davvero conviene a Putin invadere l’Ucraina? E l’Europa come risponderebbe?

A nessuno degli attori in gioco conviene un conflitto. La Germania non è disposta a mandare nemmeno armi e forse si limiterà a un prestito economico all’Ucraina per acquistarne.

L’Italia si è affrettata a garantirsi le forniture di gas dalla Russia, dal momento che dipendiamo da quella “canna” per oltre il 40%.

Biden ha addirittura ritirato i militari addestratori (non solo i civili) presenti sul suolo ucraino.

Le sanzioni annunciate dagli Usa sono di entità modesta rispetto alle attese. L’impressione è che stiano cercando di convincere Putin a fermarsi.

Un’invasione vera e propria dell’Ucraina non è nell’interesse della Russia, ed è probabile che l’Occidente continuerà a minimizzare la questione finché l’occupazione resterà limitata alla regione del Donbass, preferendo le sanzioni economiche a un’escalation militare.

E’ importante sottolineare che i rischi di un’invasione vera e propria sarebbero molto seri. Gli Stati Uniti difficilmente potrebbero ignorarla, perché rischierebbero di perdere credibilità.  Da un lato, infatti, apparirebbero incapaci di difendere i confini NATO (la Polonia, altamente anti-Russia, si troverebbe le truppe di Putin al confine). Dall’altro, darebbero un segnale di grande debolezza alla Cina sulla questione Taiwan.

 

Investire in Russia puo’ essere consigliato?

Dai dati evidenziati sopra, attualmente il listino russo è a sconto del 20-30% rispetto ai valori storici. Apparentemente potrebbe sembrare il miglior posto in cui investire, ma le questioni geopolitiche e le iniziative politiche ed economiche del governo russo scoraggiamo gli investitori istituzionali. Fino ad ottobre la borsa russa era salita ad un passo più che doppio rispetto alla media delle borse mondiali. Il rialzo era trainato, soprattutto, dai titoli dell’energia (Gazprom) e delle materie prime. Gazprom pesa per il 20% sulla borsa di Mosca. Il listino è molto concentrato su petroliferi e materie prime. Questo puo’ rappresentare un punto di forza in questo momento, ma nel tempo può diventare una debolezza (una elevata concentrazione su pochi settori significa maggiore rischio). La crescita economica  prevista per il 2022 è bassa (pari all’1%) senza considerare eventuali nuove  sanzioni. Pur essendo un gigante militare e per estensione territoriale, da un punto di vista economico è un nano: il peso dell’indice russo sull’indice mondiale è praticamente irrilevante.

Investire su questo mercato va valutato con attenzione, se si decide di farlo, con un peso basso in considerazione del rischio elevato.

 

Brexit: a che punto siamo e quali conseguenze per gli investimenti?

Brexit: a che punto siamo e quali conseguenze per gli investimenti?

Brexit

Il significato della parola Brexit fa riferimento all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e deriva dalla crasi di due parole inglesi: Britain, “Gran Bretagna”, ed exit, “uscita.

Da dove ha origine la Brexit?

Il rapporto tra il Regno Unito e l’Europa non è mai stato semplice. Se da un lato il grande statista Churchill nel 1946 diceva, a Zurigo, di volere la creazione degli Stati uniti d’Europa, dall’altro la Gran Bretagna declinò l’invito a far parte della CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) nel 1951.

Questo rifiuto mostrava come gli inglesi, già allora, volessero essere partner dell’Europa, ma senza esservi coinvolti direttamente.

L’adesione della Gran Bretagna alla CEE avvenne solo nel 1973.

Negli anni ’80 la Tatcher espresse il no nei confronti dell’adesione al progetto di Unione Monetaria, allora abbozzato attraverso la creazione di una moneta unica virtuale, l’ECU. La Gran Bretagna, nel rispetto del pensiero di Churchill, voleva stare con l’Europa, ma non in Europa. E ci riuscì.

Nel 2013 David Cameron promise che se avesse vinto le elezioni del 2015 avrebbe richiesto un regime più favorevole per Londra all’interno dell’Unione Europea. Nel maggio del 2015, ad elezioni vinte, ribadì l’impegno e ottenne più di ciò che si aspettava. A questo punto non poteva tradire l’impegno ad indire il referendum che aveva promesso.

Il 23 giugno del 2016 il 51,89% dei votanti dichiarò la propria preferenza verso l’abbandono dell’Unione Europea. E fu subito caos Brexit.

 

Oggi a che punto siamo nella Brexit?

In questi giorni l’Unione Europea sta mettendo alle strette il governo britannico, in vista dell’appuntamento del 31 ottobre, termine ultimo fissato per la Brexit.

Il ministro britannico Johnson ha 12 giorni di tempo, cioè fino a fine settembre per presentare una proposta scritta di accordo (deal) sull’uscita del Regno Unito dalla Unione Europea.  Altrimenti sarà Brexit no deal, uscita senza accordo.

Johnson, di contro, non accetta alcun ultimatum da parte dell’Unione Europea e ribadisce in occasione del vertice Ue del 17 ottobre si proverà a trovare un’ accordo consensuale con Bruxelles.

Sembra, però, sia in corso uno scambio di documenti tra la Commissione dell’Unione Europea e Londra.

È ancora possibile raggiungere un accordo prima del ritiro del Regno Unito dall’UE?

Il nuovo primo ministro, Boris Johnson ha basato la sua campagna elettorale sulla promessa di lasciare l’UE il 31 ottobre, sia con un accordo sia senza alcun accordo, e dato che l’Unione Europea ha ripetutamente rifiutato di tornare al tavolo delle trattative, non è ancora chiaro se a questo punto sia possibile un risultato diverso da un No Deal, uscita senza accordo.

Nel frattempo l’Europarlamento ha approvato a larga maggioranza la possibilità di un’eventuale proroga della Brexit oltre il 31 ottobre: Questa opzione dovrebbe essere richiesta dal Regno Unito a condizione che sia “giustificata e con uno scopo specifico”, ad esempio per evitare un’uscita senza accordo, per svolgere elezioni generali o un referendum.

Una Brexit ordinata sarebbe nell’interesse sia dell’Europa che della Gran Bretagna, ecco il motivo di questa apertura.

 

Dove investire a seguito della Brexit?

Dopo tre anni dal voto che ha stabilito la Brexit siamo ancora ad un nulla di fatto. La telenovela Brexit con ultimatum politici, proiezioni sugli scenari possibili, governi britannici che cadono, nessun accordo raggiunto con Europa, continua a tenere con il fiato sospeso operatori economici, i cittadini britannici,  imprese ed investitori.

L’instabilità e l’incertezza non sono mai gradite ai mercati. Le imprese e gli operatori economici, infatti, investono risorse sul loro sviluppo e sulla loro crescita in una situazione di stabilità economica e normativa.  Sarebbe opportuno vi fosse un epilogo definitivo della vicenda il prima possibile.

In ogni scenario vi possono essere opportunità differenti da cogliere per ottenere rendimento sui propri investimenti.

Ecco alcuni esempi:

Sterlina

Dal referendum la Sterlina ha perso circa il 10% nei confronti delle principali valute. E’ difficile dire se abbiamo toccato il fondo oppure no, ma una strategia potrebbe essere quella di accumulare Sterline poco alla volta, comprando sulla debolezza.

Azioni

Un’uscita con un accordo potrebbe favorire il settore finanziario, grazie allo scampato pericolo. Al contrario, un hard Brexit, ossia una uscita senza accordo, potrebbe favorire l’export, rivitalizzato da un indebolimento della Sterlina.

Obbligazioni

Un’uscita dall’Unione Europea provocherebbe un rialzo dei tassi per contenere le spinte inflazionistiche derivanti dalla svalutazione della moneta. In questo caso sarebbero da preferire bond indicizzati all’inflazione, titoli con scadenze corte o indicizzati.

Questi alcuni suggerimenti utili per valorizzare i  propri investimenti, alla luce dei cambiamenti in atto nell’economia mondiale.

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Daniela Garoia – Consulente finanziario

Il taglio dei tassi in America è alle porte: dove possiamo investire?

Il taglio dei tassi in America è alle porte: dove possiamo investire?

Il taglio dei tassi: le implicazioni economiche e di investimento

La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina crea incertezza sul commercio e pesa sulla crescita globale, assieme alla Brexit e al limite del debito federale americano che, ancora, non è stato fissato.

Powell, presidente della Federal Reserve, ha evidenziato i rischi e le incertezze che pesano sulle previsioni di crescita per gli Stati Uniti. Le conseguenze della trade war tra USA e Cina, infatti, hanno già penalizzato gli investimenti delle aziende, che risultano notevolmente rallentati.

Tale incertezza sul commercio ha avuto una tale ripercussione sulle maggiori economie mondiali da aver già causato un rallentamento della crescita. Questo potrebbe influire anche sull’economia americana aprendo le porte all’atteso taglio dei tassi.

L’atteggiamento della banca centrale americana

Davanti alla possibilità di un intervento espansivo, la banca centrale americana ha mostrato atteggiamenti contrastanti negli ultimi mesi:

A dicembre la Fed parlava di due rialzi dei tassi possibili nel 2019.

A gennaio si era passati a zero rialzi e tassi fermi per tutto l’anno.

Ora, Powell si prepara a tagliare i tassi e ad attuare “politiche appropriate” per sostenere l’economia della prima potenza mondiale.

Dalla riunione della Fed di maggio, al termine di un mese terribile per le borse con l’aumento dei dazi alla Cina e lo stop ai negoziati, è emerso come all’interno della Fed si sia “rafforzata la posizione per una politica monetaria più accomodante”. Segnale chiaro sul fatto che la banca centrale statunitense possa procedere ad un taglio dei tassi di interesse nella riunione di fine luglio.

Una possibilità che la maggior parte degli analisti a Wall Street quota al 100% e che da tempo è voluta dalla Casa Bianca.

 

Ma quali sono le ripercussioni in Europa?

L’attuale scenario dei mercati, quindi, fa presagire fino a tre tagli dei tassi da parte della Fed per il 2019, il dubbio è solo relativo all’entità del taglio: 0,25% a luglio o 0,50%?

L’analisi in Europa risulta molto complessa, perchè si è verificata una situazione senza precedenti. I tassi europei, infatti, sono ai minimi storici e appare ormai evidente che la BCE abbasserà il tasso sui depositi nei prossimi mesi.
Il taglio dovrà essere accompagnato da misure volte a limitare l’impatto dei tassi negativi sul settore bancario.

Alla luce di ciò, sembra probabile che i tassi dei paesi dell’Eurozona diminuiranno ulteriormente anche se, come negli Stati Uniti, i livelli attuali scontano già gran parte delle future decisioni in campo monetario.

 

Come modificare il proprio portafoglio di investimenti?

Dato l’attuale scenario economico e le ripercussioni sull’Europa, dove possiamo investire?

Obbligazioni e titoli di stato dell’Europa periferica e dei paesi emergenti, e puntando in ambito azionario sui cosiddetti megatrend!

 

Dove investire?

In un portafoglio i titoli di Stato dei paesi “core” hanno ancora del potenziale.

In un’ottica di diversificazione, si suggerisce di investire sull’Europa periferica(l’Italia in particolare) che mantiene un potenziale di riduzione dello spread (rispetto ai tassi “core”) ed alle obbligazioni dei paesi emergenti (il cui carry rimane positivo) che dovrebbero beneficiare dei tagli dei tassi della Fed e della BCE, nonché di un probabile deprezzamento del dollaro.

A soffrire maggiormente, secondo molti analisti, sarà la valuta Usa. A causa della politica accomodante della Fed, infatti, ci si aspetta che il dollaro tenda a deprezzarsi, con la possibilità di arrivare a 1,20 per il cambio eurodollaro entro fine anno.

Per gli stessi motivi, al contrario, si dimostra positivo l’andamento dell’oro, dei Treasuries e delle obbligazioni dei Paesi Emergenti, che iniziano a scontare il primo taglio dei tassi del 2019.

 

Su quali settori?

Puntare sui megatrend, quelle macro-tendenze che hanno un forte impatto su come evolvono società, economia, cultura e business, in quanto motori del cambiamento e dell’innovazione.

In particolare, fra questi emergono titoli legati a:

Intelligenza Artificiale e implementazione del software;

– virtualizzazione dei dati sul cloud e la cybersecurity;

multinazionali del consumo, come Amazon, che racchiude in sé anche il macrotrend del commercio online;

Accanto a questi, viene confermata l’allocazione in portafoglio dei titoli meno esposti al ciclo come quelli del settore sanitario e farmaceutico.

 

E in Italia…

Dopo una eventuale mossa della Fed non è sbagliato ipotizzare un’analoga decisione da parte della BCE.

Ma quali potrebbero essere i risultati sul territorio italiano?

L’Italia, con il settore lusso (ad esempio Salvatore Ferragamo e Moncler) potrebbe vedere uno slancio.

Lo stesso si può dire anche per il settore energetico, come Saipem o Eni, molto esposti sul settore internazionale.

 

Questi alcuni suggerimenti per rendere sicuri i propri investimenti, alla luce dei cambiamenti in atto nell’economia mondiale.

 

 

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Daniela Garoia – Consulente finanziario

 

 

Mercato finanziario: 2 regole d’oro per un investimento sicuro

Mercato finanziario: 2 regole d’oro per un investimento sicuro

Mercato finanziario: due regole d’oro per un investimento sicuro

Oggi più che mai, come conseguenza del forte periodo di crisi che abbiamo attraversato, si valuta quale sia la strategia migliore per investire il proprio denaro e fare un investimento vantaggioso.

Come si è evoluto il mercato finanziario negli ultimi anni? Proviamo a vederlo insieme.

Prima dell’avvento dell’euro (1997), le famiglie italiane investivano in Bond Statali: i titoli di Stato costituivano le principali soluzioni d’investimento, erano sicuri e redditizi.

Nel 2010, in seguito alle decisioni politico-economiche prese dalla Comunità Europea, il trend sulle obbligazioni governative ha subito un’inversione di marcia: recenti studi dimostrano che dal 2008 a fine 2015, la quota di titoli di Stato è scesa dal 7,3% al 3,1% sul totale investito dalle famiglie.

A cosa è legato questo trend negativo?

Sicuramente ai tassi di interesse troppo bassi o addirittura negativi che non invogliano il risparmiatore italiano a compiere un passo di questo tipo.

L’analisi accurata da parte degli analisti dimostra infatti che la durata finanziaria media degli indici obbligazionari è ai massimi livelli storici mentre i rendimenti dei Bond sono calati drasticamente: tradotto in parole povere significa che non esistono più condizioni favorevoli per investire su obbligazioni.

(fonte: il Sole24ore)

Anche immaginando una risalita positiva del trend dei Bond, restare ancorati ad una forma di investimento solo perché ritenuta “sicura e vantaggiosa” nel passato, senza valutare nuove forme di investimento, può rivelarsi molto rischioso.

Come orientarsi allora in questo nuovo scenario di mercato?

Dobbiamo sicuramente rivolgere la nostra attenzione verso altre forme di investimenti sicuri e redditizi.

Ti suggerisco due regole d’oro da tenere sempre a mente:

1.  diventa fondamentale anticipare (laddove possibile) ed adattarsi ai cambiamenti del mercato finanziario valutando i migliori strumenti di investimento.

Ad esempio, il trend attuale descrive il passaggio dai Titoli di Stato ai fondi comuni d’investimento: i fondi comuni sono strumenti molto utili che consentono al risparmiatore italiano di diversificare il proprio investimento, evitando di concentrare i propri risparmi nei titoli di pochi o di un unico emittente e di incorrere nella perdita definitiva di parte o tutto il capitale in caso di fallimento (default). Esistono diverse tipologie di fondi comuni: azionari, obbligazionari, liquidità, flessibilità, ecc.

L’immagine mostra il trend di crescita dei fondi flessibili dal 2003 al 2015 (fonte: il Sole24Ore)

2. è necessaria una maggiore consapevolezza nell’impiego dei propri risparmi: è importante capire se chi ci propone il prodotto lo fa nel suo interesse o nel nostro e se la proposta e è realmente allineata ai nostri obiettivi di investimento.  Qualsiasi forma di investimento va studiata nel dettaglio e personalizzata in base alle esigenze della singola persona. In queste circostante può essere molto utile rivolgersi a specialisti esperti in consulenza finanziaria per intraprendere il percorso più adatto.

Se vuoi muoverti nel mondo degli investimenti in maniera sicura e consapevole,  contattami per una consulenza gratuita e personalizzata.

Daniela Garoia – Consulente finanziario